3.8.07

Fuga da Solace - Il Bastone

"Il mio nome,il mio vero nome è Icarius Waine... eppure per molti,molti anni non è stato così.
Ricordo ancora quando,piccolino, arrampicandomi con foga tra i rami di Solace, sentivo talvolta mia sorella e talvolta Otik urlarmi contro, rimproverandomi, col mio nomignolo infantile, Ikki.
Lo so, è buffo, suona male e di certo non si addice a ciò che col tempo sono divenuto; ma io non sono stato sempre ciò che sono adesso; ho un passato particolare e giacchè ultimamente sento che non calcherò queste terre ancora a lungo, vorrei che la mia storia perdurasse e non svanisse insieme ai miei ricordi, perchè mio caro lettore ogni storia è degna di merito ma di sicuro questa ti stupirà e ti coinvolgerà sopra ogni altra. Ancora oggi la mia mano talvolta ha dei fremiti involontari mentre verga queste parole sotto l'influsso di ricordi del passato,remoti,distanti,lontani eppure ancora oggi così vivi nella mia mente, nel mio cuore,nella mia anima. E se leggerai queste parole,anche nella tua...

Ero un'abitante di Solace, allora, una mesto e riparato borgo boschivo, talmente sereno da dar la noia al più consumato dei bibliotecari. Mia sorella era la principale cameriera di quella che allora era la migliore taverna di tutto il circondario: la Taverna del Viaggiatore Stanco; così io spesso ciondolavo qui e lì sbrigando piccoli lavoretti alla meno peggio per entrambi. Otik più e più volte aveva tentato, non senza diverse buone dosi di scapaccioni, di trasmettermi il suo immenso sapere culinario; il buon vecchio cuoco aveva perso di certo un paio dei suoi canuti anni nello stare dietro ad un ragazzino scapesrato com'ero allora, eppure io non avevo mai appreso nulla. Ciò che vedevo erano unicamente le rifulgenti spade, le scintillanti armature, le epiche imprese dei grandi eroi che di tanto in tanto mi venivano narrate da uno dei tanti bardi di passaggio nella tranquilla e cordiale locanda. Accadde così,quasi per caso,che un giorno di questi mi ritrovai catapultato in una di quelle avventure che si narreranno (o già si narrano) le sere d'inverno davanti un crepitante fuoco di camino.
I primi ricordi che ho di ciò che mi accedde risalgono ad una sera di primavera;mi ricordo che quella sera ero particolarmente allegro, non rimembro ora per quale accadimento specifico o semplicemente se non ve ne fosse alcuno ed ero, come spesso mi accadeva in quei giorni, ricolmo di aspettative e sogni per il futuro, talmente baldanzosi da rendermi costantemente di buon umore. Avevo ricevuto da poco un piccolo arco di discreta fattura, donatomi da Otik stesso contro le grandi proteste di mia sorella Tika, che non voleva che impugnassi armi vere data la mia già naturale predisposizione a cacciarmi nei guai.
Quell'arco fu per me come il segno di un'avvenuta consacrazione: avevo un'arma, ero un guerriero. Ed allora non mi importava che il mio arco fosse più piccolo della norma, perchè tra le mie mani era già imponente; non mi importava che la sua fattura non fosse perfetta,la corda fosse un pò lacera e consunta e l'impugnatura malferma, perchè quell'arco,dall'uso intensivo che ne avevo fatto in quei pochi mesi prima, era divenuto un'estensione naturale del mio corpo, una fremente arma pronta a condurmi a larghe falcate verso il destino che avevo deciso: quello dell'eroe.
Prima di una sera la mia vita era sempre stata un'immenso lavoro di fantasia. Credevo veramente che un giorno avrei domato draghi e liberato damigelle, ma non avevo mai avuto l'occasione di mostrare quello che secondo me era il mio reale valore.
Ed è proprio vero che sono le opportunità a venirti a cercare, piuttosto che tu andare a cercare esse giacchè la mia prima avventura mi capitò per capo e collo,senza che io me la fossi cercata. Ho ancora alcuni ricordi piuttosto nitidi di quello che accadde; ma talvolta anche la mia memoria mi inganna ed allora cederò la mia parola a qualcuno di coloro che mi hanno accompagnato nel mio viaggio... che conobbi quella sera. La locanda mi parve subito più animata del solito, ricolma di gente e sopratutto incredibilmente densa di bardi e al contempo di loschi figuri. In particolar, entrai subito in conflitto con Sirius e Sepherion; il primo mi apparve come un grosso attacabrive, il secondo come un maniaco di prima qualità che cercava di attacare bottone con tutte,anche con mia sorella,nonostante avesse già una sua donna con sè. Ed è vero che il nostro incontro non fu dei migliori: a quel tempo Sepherion era un giovane baldo con due occhi azzurri profondi ed intensi, ed una folta chioma di capelli dorati che cadevano a ciocche sugli spallacci della sua armatura, scintillante e pregiata. Sirius,imponente per stazza come per aspetto, era un'omaccione incupito e antipatico ai miei occhi, agghindato da uno strano capello a giro e da un'inquietante veste porpora. E poi c'era lei, Arianna,a completare il trio di sconosciuti forestieri; e ricordo che guardandola la prima volta non potei fare a meno di notare in lei tratti quasi materni; i suoi occhi,in particolare, mi ricordarono per un istante quelli della mamma che non avevo mai conosciuto... Era una ragazza alta e snella allora, di nobile portamento e regale vista, sempre compita nei gesti quanto nelle parole; pareva che emanasse intorno a se un'aria di sereno rasseneramento tanto la sua bellezza era dolce. Non avrei mai immaginato quanti guai ci avrebbe procurato lei, ma sopratutto il suo bastone. Accadde tutto in un attimo: Hederick che, dopo uno slancio poco felice, ruzzola ubriaco nel fuoco del camino; il panico che si diffonde per la locanda; io che sento un suggerimento nell'aria,afferro proprio il bastone di Arianna e con forza lo carico sulla schiena del malcapitato riarso ormai quasi del tutto dalle fiamme.
E lì, la prima magia, l'inizio della nostra storia.
Perchè il bastoni,cari miei,non era un bastone qualsiasi; perchè le fiamme svanirono e la pelle ritorno morbida come prima di essere avviluppata dal calore e l'uomo si riprese. Allora ero ingenuo, forse poco più di adesso, ed immediatamente collegai il prodigio a qualche mia straordinaria abilità; ma non ebbi il tempo di vantarmi di essa con Tika, poichè la locanda si infervorò quasi immediatamente di uomini che pretendevano di avere il bastone, mettendo tra l'altro anche mani poco convinte su impugnature poco minacciose. Fu così che ognuno di noi si dedico ad impressioni diverse: la fuga,suggerita da Tika, fu il primo pensiero che fulminò di scatto le nostre menti. Tutte,tranne quella di Sepherion che, ahilui,pagò caro quest'errore. Passando rapidamente per una porta prima che gli avventori si avventassero su di noi, ci ritrovammo nell'odorosa cucina di Otik; Tika ci indicò una via di fuga relativamente insicura, da me adoperata spesso per le mie fughe in occasione dei piccoli furtarelli alla dispensa della locanda. C'era solo un particolare che la mia astuta sorella non aveva calcolato; una pendenza di circa 180 gradi, una discesa perpendicolare di 12 metri con l'ausilio di una semplice corda; una bazzeccola per un bambino agile com'ero io allora, per di più avvezzo alle usanze di Solace, un dramma per i miei compagni. Ricordo ancora il sangue sgorgare dalle mani di Cedric ed il dolore del suo corpo che piombava dolorosamente sul mio braccio; eppure, il suo contegno non venne mai meno nonostante il gran quantitativo di sangue perduto. Le discese seguenti non furono meglio; la stessa Arianna finì al suolo in maniera non proprio decorosa, ma non c'era tempo per fermarsi, nessun istante per riflettere, non un secondo per girarsi indetro e guardare, forse per l'ultima volta, quella che per undici lunghi anni era stata la mia casa, la mia reggia, il mio mondo. Ero giovane allora, e non vedevo l'ora di sfuggirne; colsi al volo la castagna e girandomi verso Tika le feci intuire che li avrei guidati per un pò nel loro viaggio.
Non avevo idea di quante cose sarebbero successe.
Ma uno di noi non aveva scesa quella corda; Sepherion, che prudentemente aveva evitato un'impresa che con la sua scintillante armatura poteva rivelarsi eccessivamente pericolosa, era però imprudentemente incappato in dei villani del luogo che l'avevo subitaneamente intercettato. Messo alle strette tra il suo onore e la sua parola, incapace di liberarsi senza macchie dalle ragnetele di promesse aveva infine giurato loro di ricondursi ad essi con il bastone, Il bastone di Arianna.
Nel frattempo la nostra fuga continuava; avevo deciso, senza dubbio alcuno, come mi capitava sempre da giovane, che il lago sarebbe stata la nostra salvezza ed avevo condotto tutti alla nostra unica fonte di speranza. Avevo il cervello che mi macchinava furiosamente per trovare possibili soluzioni all'inghippo, tanto rapidamente da non avvedermi,come i miei più saggi ed anziani compagni, di essere seguiti, pedinati, braccati senza pietà da un orda di goblin che comunicavano fra di essi lanciandosi lunghi fischi tra le selve boschive. Forse mi avrebbe consolato sapere che una sorte simile era capitata a Sepherion; sfuggito ai paesani, con indosso sempre il suo equipaggiamento pesante e braccato come noi si era sfiancato in una tetra corsa verso l'ignoto sorretto solo dalla sua forte fede, mentre nella sua mente tamburellavano immagini di ipotetiche ultime battaglia; puntando come unica direzione possibile dritto davanti al suo naso, semi immerso nella perenne oscurità dei pioppi che ci attorniavano, non so per quale assurdo caso del destino riuscì a raggiungere il lago, proprio mentre noi stavamo salpando in preda alle preparazioni, tra navi bruciate e sequestrate secondo quello che allora mi appareva come un geniale piano.
Eravamo lenti ed impacciati, ma c'era una nascosta verità dietro a questi movimenti al rallentatore: la verità è che io volevo che lo fossimo. Non volevo andarmene senza aver scagliato almeno una freccia, senza aver nemmeno scoccato un dardo in mezzo agli occhi di quei luridi pelleverde che ci avevano inseguiti, volevo provare l'ebrezza della battaglia, il gusto della lotta per la supremazia, la gioia della vittoria. Non ero però ancora pronto al dolore; non avevo mai combattuto, in fondo, e quello non era un gioco.
Salpammo; riuscimmo persino a trarre in salvo il fortunato Sepherion mentre su di noi piovevano salve di dardi; talmente tanti da oscurare il già ombroso manto notturno che silente si stendeva sulle nostre teste. In men che non si dica, mi ritrovai con la mano impalata alla barca che avevamo scelto per la fuga: il dolore di vedere l'asta fuoriuscire dalla mia ancora fresca pelle mi aveva imperlato la fronte di sudore e colmato gli occhi di lacrime salate. Io ero solo un bambino; mi ritenevo forte, questo si, ma fra i bambini del mio villaggio. L'odore metallico del sangue mi stordì; afferrai meccanicamente due, tre frecce, sentii la corda tendersi, lasciarsi andare, poi nuovamente tendersi. Ero come in preda ad un raptus di battaglia; avevo visto un'altra freccia conficcarsi nella coscia di Arianna, inchiodandola alla panca della nave e aprendo una profonda lacerazione nelle sue carni; vedevo Cedric, quasi eroicamente data la sua mano in condizioni pessime, impugnare la balesta stoicamente e scagliare quadrelli alla rinfusa sui ranghi serrati di goblin, mentre Sirius e Sepherion cercavano di evitare che la nave si ribaltase ed al contempo di fuggire. Ricordo di aver visto almeno un goblin piegarsi fra i fiotti di sangue impuro sotto i miei colpi, la pelle rugosa penetrata da grezzi stralci di legno; quando mi ripresi dal mio raptus, mancavano già tre frecce alla mia faretra.
Ma, come sempre, non c'era tempo per riflettere.
Mi gettai in mare per spingere e guidare la nave mentre con un effetto pirotecnico mirabolante Sirius abbatteva le imbarcazioni che ci eravamo lasciati dietro e chiudeva così ogni possibile discussione sull'inseguimento...
Ricordo che i minuti trascorsi nell'acqua furono interminabili; il freddo del lago mi intorpidiva le membra nonostante mi dibattessi furiosamente. Ricordo solo freddo, tanto freddo e tanta fretta. Quando risalii sulla nave, molti di noi erano stanchi e spossati; ci guardavamo in viso con aria sbigottita e stralunata, ma io ero troppo contento di essermi imbarcato per quello che mi sembrava un grande immenso viaggio d'avventure per abbandonarmi allo sconforto. Mi abbandonai, invece,al sonno, confortato dalla presenza materna di Arianna.
Quando mi svegliai, scosso dai miei compagni per trovare il rifugio, fui investito da un'altra pungente andata di freddo mattutino e di sensazione di bagnaticcio; non avevamo ancora trovato un luogo dove riposarci ed alcuni miei compagni avevano remato tutta la notte.
Attraccammo la barca, la tirammo a secco, portammo via tutto ciò che potevamo da essa e trovammo rifugio in una grotta che il mio giovane ed esuberante ego conosceva benissimo. Condussi il gruppo con sicurezza, aiutato dalle luci magiche che i miei compagni evocatori creavano appositamente per me; dissimulate le tracce, ognuno di noi si abbandonò in un profondo sonno...